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Stellantis, addio Italia: viene a galla il vero motivo!

Se ci sei, cara Italia, batti un colpo! La nostra penisola sembra ormai diventata una lontana parente di quella del passato, quando recitava un ruolo di prim’attrice nell’industria automotive. La campagna di transizione elettrica attuata fin qui ha lasciato parecchio a desiderare. E lo dimostra pure lo scarso successo avuto dagli incentivi erogati agli acquirenti di bev. E chi dovrebbe assumersi la responsabilità di favorire il cambiamento come Stellantis tergiversa.

Il vero motivo per cui Stellantis preferisce non investire in Italia

Mentre le vicine di casa accelerano, il Belpaese stenta a prendere slancio. Nel nuovo numero di Affari & Finanza, inserto della Repubblica (parte del gruppo Exor), di lunedì 2 ottobre, viene fatto il punto della situazione e l’Italia ne esce a pezzi. Le prospettive appaiono tutto fuorché incoraggianti, anche perché ci supererebbero pure realtà, almeno sulla carta, di secondo piano, tipo la Polonia o l’Ungheria.

La tesi sostenuta dal quotidiano è che l’Italia abbia un concorso di colpa. Difatti, il governo presieduto da Mario Draghi prima e Giorgia Meloni poi ha investito poco nella transizione della mobilità. Non aiutano le decisioni assunte dalla Commissione Ue: invece di limitarsi ad allargare le maglie degli aiuti statali, si legge, viene premiato chi dispone di maggiori disponibilità in bilancio. Tradotto: sui 672 miliardi di euro di finanziamento approvati dagli organi comunitari, il 77 per cento è appannaggio di Germania e Francia, rispettivamente col 53 e il 24 per cento del totale, contro il misero del 7 per cento dell’Italia.

Con presupposti simili è difficile promuovere l’innovazione, attirando multinazionali come Stellantis. Ad avviso del governo Meloni, le politiche sovranazionali sfavoriscono le imprese italiane, rispetto a quelle francesi e tedesche. Queste ultime dispongono, infatti, di più capitale da investire e le mosse contribuiscono ad aumentare il divario. L’idea nutrita sulle batterie è di realizzare una sorta di Chips Act, sulla falsariga del modello europeo. Tuttavia, i dettagli restano da definire e non è dato sapere quando ciò accadrà.

Uno dei principali operatori del campo, STMicroeletronics, azienda italo-francese, ha intanto comunicato un investimento da 730 milioni di euro in Italia (con 292 milioni di sussidi), che appaiono briciole in confronto ai 7,4 miliardi di euro stanziati per l’impianto di Crolles, in Francia (2,9 miliardi di aiuti). Intel ci lascia, a sua volta, la catena del valore meno produttiva, con 4,6 miliardi di euro impiegati in una fabbrica polacca, poco lontana dal centro tedesco.

E non va nemmeno così bene in quanto agli accumulatori, anzi. Se la Germania e la Francia vantano una capacità produttiva rispettivamente di 162 e 325 GWh, l’Italia si limita a soli 40 GWh. Non c’è, dunque, granché di che stupirsi se Stellantis (vicina, intanti, a un accordo con i lavoratori di UAW) si guarda intorno.

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